Messico, dicembre 2020
Caro N.,
Grazie per la tua ultima lettera. L’ho letto con grande interesse e devo ammettere che ne sono stato profondamente toccato. Apprezzo la tua fiducia in me e ammiro il tuo coraggio nell’affrontare con me questioni così intime e delicate. Mi dispiace molto per la scomparsa di Tom – so quanto lo amavi…
Questi sono stati tempi difficili per te come ci siamo detti in una precedente occasione, ma l’esperienza che descrivi nella tua ultima lettera testimonia senza dubbio il momento per te più straziante: “… e ho visto per la prima volta i suoi occhi, un tempo luminosi, ora asciutti; la sua pelle un tempo liscia, ora rigida; il suo viso sempre così gioviale, appassito. … E poi ho capito che se n’era andato, che non sarebbe mai più stato con me… E poi ho compreso quanto sia orribile la morte… ”
Dopo aver letto queste tue parole, posso ben capirti quando scrivi “… sta diventando sempre più difficile per me vivere…”
Hai vissuto la terribile morte di una persona amata e ti capisco quando dici di avere la sensazione che il significato della vita stia scivolando via dalle tue mani. Ma non devi sentire di essere egoista a pensare alla tua vita e alla tua morte. Dopo tutto, le morti a cui assistiamo sono sempre quelle degli altri, ma l’unica che ci appartiene è la nostra. Quindi non incolpare te stessa se i tuoi pensieri si fermano ora sulle “sciocchezze” combinate nella tua vita, perché da un lato la morte è inevitabile e dall’altro, spesso è solo attraverso queste esperienze – la perdita di una persona a noi cara – che riusciamo a pensare alla nostra morte, e con essa alla nostra vita.
Da questo punto di vista, infatti, la nostra vita sembra seguire un ciclo pietosamente inesorabile: nasciamo, raggiungiamo alcuni traguardi (o anche molti) e alla fine moriamo, e tutto ciò che abbiamo fatto appare uno ” sforzo vano”. La tua descrizione mi ha ricordato il personaggio della mitologia greca, Sisifo, che è stato condannato dagli dei a sopportare uno ” sforzo vano” ripetuto all’infinito per tutta l’eternità. E questo mi ha portato a cercare un libro, Il Mito di Sisifo del filosofo Albert Camus che un amico mi ha dato qualche anno fa, e che mi è venuto in mente perché menziona quel personaggio mitico nel suo titolo. Vorrei condividere con te alcune idee che ho trovato interessanti.
In questo testo, il filosofo francese usa il destino di Sisifo come metafora della nostra vita quotidiana e del senso di assurdità che la permea, o di quella che tu chiami la “vita senza senso” o “la monotona routine della vita”. Per lui, il fatto che moriremo rivela l’assurdità della nostra vita, perché:
“Sotto la luce fatale del nostro destino, la sua inutilità [della vita] diventa evidente. Nessun valore e nessun impegno sono giustificabili di fronte alla crudele matematica che detta la nostra condizione“.
Ma non ti sto dicendo questo per confermare la tua disperazione – la meditazione di Camus non è cupa, ma esprime piuttosto una forza luminosa. Afferma con decisione che la vita è assurda, ed è la morte che ce lo rivela, ma questo non significa che dobbiamo arrenderci all’assurdo e nemmeno che dobbiamo ignorarlo- il nostro compito al contrario è tenerlo a mente e intensificarlo:
“Vivere è mantenere in vita l’assurdo. Tenerlo in vita è soprattutto contemplarlo”.
Questa non è una cosa ordinaria da fare, perché, sebbene la maggior parte delle persone rifletta sulla propria morte di tanto in tanto, la morte viene pensata in modo vago, come cosa lontana e non viene accettata come parte essenziale dell’esistenza. La vita viene vissuta dai più come se la morte non esistesse, e quindi si voltano le spalle all’assurdo, senza che con ciò la vita sia resa meno assurda.
Ma non pensare che abbracciare l’assurdo sia meramente un atteggiamento di passiva rassegnazione. È, piuttosto, un atto di attiva affermazione o quello che il filosofo chiama “rivolta”:
“La rivolta è un confronto costante tra una persona e la propria mancanza di comprensione [della vita] … Essa sfida di nuovo il mondo ogni secondo…. Questa rivolta consiste nella certezza di un destino devastante, senza la rassegnazione che dovrebbero accompagnarlo”.
E se decidessi di sfidare l’assurdità della tua vita, invece di rassegnarti ad essa e di rinunciare alla tua vitalità? E se, senza negare l’insensatezza della vita, potessimo rendere la nostra vita ancora degna di essere vissuta?
Dici che non trovi più un motivo per vivere, e le tue parole denotano rassegnazione davanti alla vita. So che non è la vita che rifiuti, ma piuttosto la sua assurdità ma in questo modo la tua rassegnazione ti chiude gli occhi di fronte alla “mancanza di significato “. Questa, per Camus, è una forma di suicidio, che può essere fisica o psicologica, ma che in ogni caso è l’atteggiamento opposto a quello della rivolta:
Al contrario, il suicidio, a modo suo, risolve l’assurdo. Copre l’assurdo con la morte. Ma so che per continuare a vivere, l’assurdo non può essere risolto. Sfugge al suicidio se è contemporaneamente consapevolezza della morte e rifiuto della morte”.
Sei consapevole della morte – puoi nonostante tutto respingerla? Respingerla non ha nulla a che fare con il voltarle le spalle, ha piuttosto a che fare con l’abbracciare la vita in tutta la sua assurdità!
Mi chiedi dunque come puoi continuare a vivere? Bene, non esiste una risposta già pronta. Sarebbe certamente sciocco da parte mia dirti di dimenticare tutte morti che sono state così dolorose per te, e andare avanti come se nulla fosse successo… Ma penso che le idee di Camus forniscano un magnifico modo di concepire la vita. La vita è assurda – certo, ma vivere in modo autentico significa, contrariamente al senso comune, mantenere vivo l’assurdo, senza cedere a vane speranze o abbandonarsi alla mera rassegnazione. Tutto ciò implica un atteggiamento lucido e creativo e in ciò consiste la vera ribellione da attuare giorno dopo giorno: l’unica cosa capace di dare valore alla vita:
“La rivolta dà alla vita il suo valore. Quando è distribuito per tutta la vita, ripristina la maestosità della vita“.
Quindi, anche con tutto il dolore e l’incertezza che pesa sulla tua vita, puoi opporti a una morte assurda (ma anche a tutti quei modi di negare l’assurdo) e rendere la tua vita qualcosa di prezioso. Solo allora varrà la pena vivere in questo mondo, con i tuoi cari, e specialmente con te stessa.