E’ il giorno del mio turno come volontario al reparto di oncologia dell’ospedale di Perugia. Entrare in quel luogo di dolore, disperazione e speranza è sempre una scommessa. Il mio compito è quello di parlare con i pazienti-con quelli che lo desiderano- essergli in qualche modo di aiuto con un sorriso, con un gesto qualsiasi. Non è un compito facile. Quando entro in una stanza c’è chi mi accoglie con il tipico sguardo di chi si chiede “ma questa che vuole?” Altri più gentili abbozzano un forzato sorriso liquidatorio che sono ormai abilissima a cogliere al volo. Ma c’è sempre qualcuno che ha desiderio e piacere di parlare.
Oggi quella persona si chiama Latifa, una giovane donna di Algeri che vive da tempo in Italia. Appena entro nella sua stanza mi accoglie con un sorriso aperto, luminoso. E mentre ci mettiamo a chiacchierare animatamente non posso fare a meno di chiedermi perché mai in un giorno così caldo -è il 23 giugno- lei debba portare il velo. In ospedale…nelle sue condizioni… che assurdità! E con il solo pensare questi pensieri si crea dentro di me una distanza da questa donna, che pure mi è subito molto simpatica, una distanza culturale non certo umana ma comunque una distanza.
Latifa ha trentasei anni ed è già madre di sei figli. Mi racconta di loro e di come le manchino in questo giorno, l’ultimo del Ramadan, giorno molto speciale fatto di condivisione, convivialità e gioia. A mia volta le racconto che anche in Umbria questo è un giorno particolare, essendo la vigilia della festa della Natività di San Giovanni Battista dedicato alla preparazione dell’Acqua di San Giovanni. Le donne vanno in campagna a raccogliere fiori ed erbe profumate che vengono immerse in una ciotola piena di acqua pura. Durante la notte la luce della luna e la rugiada mattutina estraggono dai fiori e dalle erbe i principi benefici che si sprigionano nell’acqua. Acqua con cui al mattino bisogna bagnarsi, lavarsi il viso e offrirla ad amici e familiari perché porti fortuna, amore, felicità. Latifa sorpresa e affascinata da questo mio racconto-chissà quali ricordi o esperienze o emozioni le ha evocato-mi afferra una mano e stringendola esclama: “Ma allora siamo sorelle!” “Sicuro Latifa siamo sorelle”, le rispondo commossa, ogni distanza tra noi abolita. Quel velo in testa non lo vedo più. Quel giorno sono uscita dall’ospedale con la sensazione che una barriera dentro di me era stata superata. Mi chiedevo, un po’ stupita, come ciò fosse potuto accadere. Non avevo nulla in comune con quella donna, ignoravo tutto del mondo da cui proveniva; un mondo che non ero neanche in grado di immaginare. Eppure qualcosa di molto profondo e speciale era avvenuto tra noi.
Ho incontato Latifa ancora durante la sua permanenza in ospedale e sono stati incontri pieni di racconti, di condivisione di ricette italiane e algerine, di una pacata allegria. Incontri pieni di affetto la vera tonalità emotiva dei quali ho compreso tempo dopo leggendo le parole di C.S. Lewis:
L’affetto è il meno discriminante tipo d’amore…Questa specie d’amore ignora le barriere di età, di sesso, classe sociale, educazione…L’affetto è il tipo di amore più umile; non si dà arie. Si può essere orgogliosi di essere innamorati o di un’amicizia; l’affetto al contrario, è modesto, quasi furtivo e schivo…L’affetto ha un volto estremamente ordinario, proprio come l’hanno molte delle persone verso le quali proviamo questo sentimento. Il fatto di amarle come anche il fatto di essere da esse amati non è indice di buon gusto né di perspicacia.
Ci eravamo promesse di incontrarci una volta fuori dalle mura dell’ospedale, ma non è successo. Latifa era molto malata e poco tempo dopo i nostri incontri ha deciso di andare a morire in Algeria, a casa sua.
Penso spesso a lei e al dono che mi ha fatto “a modo suo” e alle parole di Lewis così precise nel descrivere che cosa è stato quel dono per me:
Quando diciamo per la prima volta, e convinti… “a modo suo” …otteniamo un effetto liberatorio. Potremmo non rendercene conto, o sentirci soltanto tolleranti o indulgenti, ma in realtà avremo superato una barriera. Quell’ “a modo suo” significa che stiamo passando sopra alle nostre idiosincrasie personali, che stiamo imparando ad apprezzare la bontà o l’intelligenza in se stessa e non semplicemente la bontà o l’intelligenza condite e servite come piace al nostro palato…
L’affetto allarga la nostra mente. Di tutti gli affetti naturali è il più universale, il meno esigente, il più vasto… L’affetto apre i nostri occhi a una bontà che, senza il suo aiuto, non avremmo saputo vedere o apprezzare.
C.S. Lewis, I QUATTRO AMORI (1960)
C.S. Lewis, Four Loves (1960)
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Per continuare a leggere sull’amore secondo Lewis si consulti la pagina web di AGORA: https://philopractice.org/web/lewis